Diritti umani nel Tibet
Oggi i tibetani rischiano di essere completamente spogliati della loro cultura e tradizione religiosa, emarginati nella loro stessa terra, dove ormai si avviano ad essere una minoranza etnica sopraffatta dall'invasione colonizzatrice dei cinesi, dove i luoghi di culto vengono sistematicamente distrutti,dove le nuove generazioni non crescono più alla luce degli insegnamenti monastici e tradizionali ma vengono educate in scuole cinesi, imparano la lingua cinese e vengono indottrinate con l'ideologia marxista del PCC.
A metà del 2000, circa 500 Tibetani risultano essere in carcere per reati di opinione e attualmente sono noti i casi di 73 prigionieri politici che scontano condanne a 10 o più anni.
Durante le indagini, che possono durare da diversi mesi fino a un anno, il sospettato è generalmente tenuto in isolamento e, in molti casi, è ignorata anche la disposizione in base alla quale la polizia deve informare la famiglia del sospettato entro 24 ore dall’arresto.Molte famiglie non sono mai ufficialmente informate dell’arresto dei loro parenti e sono avvisate solo al momento del processo.
Anche allora, le famiglie incontrano molte difficoltà a capire esattamente in quale prigione i loro cari siano detenuti. La mancanza di informazioni rende l’intera esperienza ancora più stressante sia per i prigionieri sia per le loro famiglie.
Nel nuovo Codice di Procedura Penale è stata introdotta l’espressione “minaccia per la sicurezza dello stato”, che sostituisce l’espressione utilizzata in precedenza di “contro-rivoluzionario”.
Questo consente alle autorità cinesi di utilizzare la formula “segreto di stato” a giustificazione dell’arresto e della detenzione e negare al sospettato il diritto alla difesa per tutto il periodo delle indagini e degli interrogatori.
Per gli imputati politici Tibetani è molto difficile ottenere un difensore soprattutto per motivi finanziari o per la riluttanza degli avvocati che temono di essere accusati di sostenere i “separatisti”.
Il governo cinese continua contemporaneamente a violare i diritti dei bambini tibetani sia in materia di educazione e assistenza sanitaria sia per quanto concerne la libertà di espressione.
Ogni anno numerose famiglie tibetane sono costrette a mandare i propri figli in esilio per assicurare loro libertà ed educazione scolastica. Molti genitori affidano i bambini ad estranei e spendono tutti i propri risparmi per assicurare ai figli un passaggio verso la libertà. Alcuni sono addirittura lattanti e devono essere trasportati attraverso l’Himalaya sulle spalle di un adulto.
Oggi si parla molto e con ragione del viaggio dei migranti lungo le rotte del Mar Mediterraneo. Viaggi che mettono alla prova fisicamente e psicologicamente chi li affronta privando chi lascia le proprie terre, con la speranza di un futuro migliore, di ogni tipo di dignità e libertà. Il viaggio dei tibetani verso la libertà è molto simile, benché gli organi di informazione non lo rendano noto, eccetto per le rotte che in questo caso sono montanare e non marine.
Il viaggio dura almeno quattro settimane ed espone gran parte dei bambini al gelo e all’ipotermia, al punto che alcuni muoiono durante il viaggio. Se sopravvivono, ci sono poche possibilità che possano mai rivedere i propri famigliari. Nel 1999, su 2.474 rifugiati in fuga dal Tibet occupato dai cinesi, ben 1.115 erano bambini o ragazzi sotto i 18 anni, pari al 45% di tutti i profughi giunti in India in quell’anno. In maggioranza non erano accompagnati dai genitori, ma erano stati affidati a guide.
Il fatto che tante famiglie abbiano preso questa grave decisione, rischiando la vita dei figli e la propria nel caso in cui la fuga sia scoperta dalle autorità cinesi, è la inconfutabile prova della costante violazione del governo cinese in materia di tutela dei diritti umani dei bambini in Tibet.